lunedì 8 febbraio 2010

Pucci Cipriani

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Pucci Cipriani scrive come parla: con elegante, toscana naturalezza. E parla come vorrebbero scrivere i pennaruli e gli intellettuali incoronati dalla gloria di quel palcoscenico, che è allestito dalle baronie egemoni e dai quotidiani chic per diffondere la noia ultramoderna e l’oscenità perpetua.
Leggere la prosa vivida del salvatico e non omologabile Cipriani significa gustare i piaceri connessi con la perfetta estraneità alla neolingua, che, nel frattempo, è diventata lingua del pensiero obituario. E godere l’esonero dal concerto cacofonico orchestrato dalle massonerie e dai poteri forti. Ed esultare per il felice esilio dal popolo martellato dal pensiero corretto (corretto da esangui grammatici e da letterati dispeptici).
Nella scorrettissime pagine dell’Altra Toscana gli interpreti del rinnovamento cattolico in atto trovano motivi di conforto e di orgoglio.
Pucci ha ricostruito la splendida (e censurata) vicenda dei militanti cattolici, che, nella più rossa e settaria città d’Italia, prima osarono sfidare la moda laica e progressista (fumigante anche nella Chiesa) poi l’urlo del delirio sessantottino.
La vitalità dell’anticonformismo fiorentino è frutto dell’amore per le sfide: “Firenze è una città laica, anzi laicissima, eppure proprio a Firenze c’è stato in passato e in parte vive tuttora il cattolicesimo più combattivo, forse perché qui da noi la religione non è mai stata tanto una scelta quanto una conquista”.
Opportunamente il conte Neri Capponi rammenta lo stato di illegalità ufficiosa – stato d’infrequentabile sottobosco - in cui versava la sfida cattolica al mondo moderno: “La destra culturale cattolica … non ha mai avuto cittadinanza nell’ambito ufficiale del cattolicesimo fiorentino che si divideva fra un doroteismo culturale privo di idee e una sinistra attiva e pensante, ma che, per il suo orizzontalismo … spesso finiva su posizioni para marxiste (più compiutamente espresse dalla cosiddetta teologia della liberazione)”.
Se non che nella mal sopportata – vergognosa - area del cattolicesimo intransigente circolava la linfa vitale del rinnovamento filosofico e storiografico.
Mentre la Firenze ufficiale si estenuava inseguendo le farfalle dorotee e/o le chimere del socialismo reale, la Firenze proibita, frequentata da Tito Casini, Divo Barsotti, Florido Giantulli, Marco Barsacchi, Piero Bargellini, Neri Capponi, Claudio Leonardi, Adolfo Oxilia, Attilio Mordini, Agostino Greggi, Giuseppe Costamagna, Alessandro Corsinovi, Giovanni Pallanti, Paolo Caucci von Sauken Giovanni d’Aloe, Ivo Butini, Pucci Cipriani e Beppe Bergamaschi, faceva proprio il pensiero degli avanguardisti cattolici (Cornelio Fabro, Michele Federico Sciacca, Tito Centi, Francisco Elias de Tejada, Nicola Petruzzellis, Augusto Del Noce, Marino Gentile, Ennio Innocenti) che hanno liquidato la filosofia illuministica e i suoi derivati.
Nel sottobosco, aveva spazio anche la corrente più verace del revisionismo storico: “Proprio a Firenze le voci controcorrente hanno una cassa di risonanza, per cui non fa meraviglia che in questa città nel 1990 il giovane storico francese Reynald Sécher sia venuto a presentare il suo “Genocidio Vandeano” prima ancora che a Parigi. … Così Anna Pellicciari sarà a Firenze per presentare il suo volume scandaloso: L’Altro Risorgimento che segue il suo primo lavoro, Risorgimento da riscrivere”.
Estranei dalla scena del disastro moderno, i salvatici fiorentini stanno riappropriandosi dell’egemonia culturale, mentre la gongolante sinistra si aggrappa all’effimero mantello della mondanità e ai grotteschi ammennicoli della massoneria.

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