martedì 9 marzo 2010

Fare futuro, il passato di un abbaglio (prosegue)

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Franz Maria D’Asaro ha descritto puntualmente il malinteso che eccitava i mutanti di destra: “Quei ragazzi non sapevano ... che erano dei profeti, addirittura degli anticipatori della nuova sinistra. Con qualche azzardato confronto: quelli, i nazionalsociali, con Evola e Guénon, gli altri, i cinesi, con Adorno e Marcuse, ma tutti in disperata polemica contro la società dei consumi, il primato dei banchieri, l’egemonia del cinico utilitarismo. Gli uni e gli altri in dissenso anche nei confronti dei rispettivi partiti di riferimento partitici, quasi intercambiabili fra Evola e Marcuse, fra Che Guevara e Mishima” .
Nell’animo dei tigrotti, la miscela di temi controrivoluzionari e temi anarchici originò durature confusioni, entusiasmi immotivati ed indomabili propensioni alla fuga vero la violenza gratuita (negli anni di piombo puntualmente esercitata dai tigrotti mentalmente vulnerabili).
Quando Alain De Benoist, evocato da Armando Plebe, scese in Italia per suscitare emozioni e consensi intorno allo slogan et destra et sinistra, gli immaturi apprendisti festanti nella scolastica evoliana erano già pronti a procedere, con una sola marcia, su due divergenti percorsi, et quello della contestazione globale et quello dell'estenuazione reazionaria.
Malauguratamente al paradosso che avvicinava Evola e Guénon a Benjamin, Adorno, e Marcuse, era soggiacente una verità allora nascosta: al di sotto delle ragioni estetiche e in fondo soggettive delle reciproche incompatibilità, concomitanti riferimenti a tradizioni (cabale) eterodosse e a filosofemi crepuscolari, giustificavano l’accordo sotterraneo tra le due diverse e concorrenti scuole postmoderne d'irreligione.
Dagli opposti capiscuola, infatti, era condivisa la stima per la dottrina di un antico precursore dei maestri del sospetto, l'eresiarca Marcione Pontico.
Quasi obbedendo alle regole della concordia discors, i teorici della contestazione globale e i banditori del tradizionalismo rivoluzionario, avevano dedotto dalla dottrina di
Marcione la propensione all’immoralismo e la fanatica ostilità verso la teodicea e la rivelazione biblica.
La fonte comune dei pensieri convergenti da sinistra a destra e da destra a sinistra, infatti, era quel “cristianesimo tedesco”, che aveva attualizzato Marcione trasferendolo dai ponderosi e astratti volumi di Hegel, Schelling e von Harnack ai tumultuosi stati d’animo di Arthur Rosemberg e degli iniziati in camicia bruna, vedi caso quelli che Evola frequentava negli anni Trenta.
Religione ad uso delle masse fanatizzate, il cristianesimo tedesco contemplava una divinità straniera e remota, che avrebbe rivelato la dottrina libertaria, opposta per diametrum alla legge dettata a Mosé e a Israele.
Di qui l’ingresso sull'agitata scena europea, di una teologia antisemita, contemplante il cristianesimo nemico mortale della tradizione veterotestamentaria e del popolo d’Israele.
Marcione, in definitiva, ha insegnato ai nazisti la ricetta di un antisemitismo travestito da fede cristiana e ai francofortesi la via che dalla destra pseudo-mistica e razzista conduce all'ateismo e alla sovversione ultracomunista.
Fatto singolare, finora non considerato con la dovuta attenzione dai politologi, è il giro tortuoso della fede in Marcione dai circoli del nazismo profondo
alle agenzie culturali che ispirano la sinistra postmoderna.
Per giustificare l'acrobatico passaggio, Jacob Taubes, il principale interprete del sessantottismo europeo, approvò l'avversione dei nazisti alla teologia veterotestamentaria, sostenendo che prima di Mosé, la spiritualità ebraica aveva un indirizzo anarchico e immoralistico. Dunque che la Germania nazista era l'involontaria levatrice della vera coscienza ebraica.
Ulteriore elemento di confusione a destra fu la strana rilettura di Nietzsche, che negli scritti dell'ultimo Evola era esaltato quale portatore di un “nichilismo attivo”, inteso alla negazione globale dell’esistente.
Trascinato dall'illusione di diventare attuale, Evola giunse al punto di credere seriamente che, predicando la “negazione di tutto l’esistente” (cioè la contestazione globale) si attuasse “una severa disciplina [tradizionalista!] portata fino agli estremi”.



Le condivisibili critiche dell'on. Sandro Bondi a “fare futuro” hanno il solo difetto di non contemplare lo spaventoso
delirio evoliano a monte del Granata-pensiero. Bondi, purtroppo, non conosce la vicenda della cultura di destra, non sa che il tentativo rautiano di suicidare la destra correndo incontro ai fantasmi della sinistra era dettato dall'equazione Evola=Marcuse. Non si rende conto che Fini è vittima di una sindrome di Stoccolma che lo ha consegnato ai distruttori usciti dalla scuola rautiana.
Quando aprirà gli occhi capirà che il più alto guadagno del centrodestra sarà lasciare per strada Gianfranco Fini, i suoi farneticanti consiglieri e la donzella in libera uscita dall'alcova di Nobilia
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