sabato 30 gennaio 2010

La cultura di sinistra a Genova

(segue)
L’ideologia progressista, invece, ha quasi sempre mostrato un basso profilo intellettuale. Basta dire che a Genova, dopo l’insurrezione del luglio 1960, per iniziativa di Chiesa e Squarzina, la sinistra trionfante e gongolante dava il suo meglio rappresentando le stucchevoli commedie del pedagogo stalinista Bertoldt Brecht. Esaurite le risorse del teatro d’impronta sovietica, a sinistra è avanzato il vuoto, ossia un pensiero alterato-azzerato dagli avventizi sessantottini, autori di pensieri stravaganti e illeggibili. Negli anni Sessanta la cultura della sinistra è stata stordita dai fumi esalati dalla raffinata fucina francofortese, dove gli intellettuali (Benjamin, Bloch, Horckheimer, Adorno, Marcuse, Taubes) risaliti dalla fossa dei serpenti neognostici, avevano allestito un’ideologia anarcoide e libertina, adatta alle divagazioni del salotto buono e/o alla trasgressione goliardica, ma lontana dalle aspettative dei lavoratori. Celebrato il Sessantotto, la cultura di sinistra è mestamente rifluita nella malinconia crepuscolare, che ora langue nelle morte colonne dei quotidiani progressisti in edicola a Genova. Emblematico il caso del più autorevole e intelligente fra gli intellettuali genovesi, che frequentavano l’istituto Gramsci, il professore Emanuele Severino, il quale nutriva, in segreto, il dubbio invincibile, da cui è stato infine persuaso alla disperata discesa nel solco irrazionalista tracciato da Nietzsche e da Heidegger. Gli altri intellettuali di sinistra o hanno messo la divisa degli ascari di Cacciari o hanno cercato rifugio nella penombra del Melangolo, dove le velleità dei neoconservatori incontrano il pessimismo lucido e struggente di Carlo Angelino
Liquidata la filosofia di Marx, congedata la classe operaia, dissacrata la dea Ragione l’impresa rivoluzionaria si accartoccia in un perpetuo psicodramma. Infine, il ritratto del consenso, che dalle urne genovesi si rovescia sulla sinistra post-comunista, rappresenta un popolo a corto di speranze e di sogni: anziani rassegnati, maestrine risentite, burocrati affranti, oziosi rampolli della borghesia conformista, affaristi contigui alle coop, facinorosi, preti sconvolti, boy scout fanatizzati. Non può contare su fruitori più elevati il pensiero che ha dettato a Marta Vincenzi la tracotante e sgangherata lezione di teologia pronunciata davanti a Benedetto XVI in visita al Gaslini. Il popolo che al mattino corre a comprare “Repubblica” altro non ottiene che l’occasione di specchiare il proprio disorientamento e il proprio malumore nel fiume delle lacrime versate sull’illuminismo al lumicino francofortese posteggiato ultimamente in via Gradoli.
Ora sulla tabula rasa della cultura di sinistra avanzano i giovani e animosi esponenti di una cultura tradizionale, che sta restaurando l’immagine della cultura genovese. La loro visibilità è inversamente proporzionata al loro peso specifico. Quando i media locali si desteranno dal sonno dogmatico che avvolge il loro patetico anacronismo si vedrà che la cultura è viva e operante solo nell’area dove si attende un segno di vita dalla destra politica.

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