domenica 31 gennaio 2010

Foundation

.
I filosofici classici (Platone e Aristotele) e cristiani (Sant'Agostino, San Tommaso e Giambattista Vico) hanno concordemente insegnato che funzione della politica è la produzioni di leggi conformi al diritto naturale e perciò finalizzate al bene spirituale dell'uomo.
I fondatori della civiltà occidentale hanno stabilito che la fonte della legge si deve cercare nella razionalità, classicamente intesa, ovvero in un'intelligenza della natura umana, che sia capace di comprenderne e affermarne la dignità.
“La legge”, sostiene Giovanni Turco nel saggio citato, “rinvia al fondamento razionale – obiettivamente e quindi universalmente vincolante – che è riconosciuto nella giustizia. … In questa prospettiva può dirsi che iustitia facit legem, o ancor meglio che veritas facit legem. Ove giustizia e verità sono concetti che si corrispondono, giacche la giustizia presuppone la verità del suum e del debitum, leggibili come tali nella realtà”.
Michele Federico Sciacca, dopo aver rammentato che alle filosofie fondate dalla ragione, anticamente si opposero le infondate, irrazionali opinioni dei sofisti, ha dimostrato che i razionalismi, egemoni nella scena culturale laicista, sono ingannevoli maschere, usate per nascondere e coprire la sofistica replicante sotto l'intenzione antimetafisica dichiarata dai moderni apostati.
Opportunamente Giovanni Turco approfondisce e aggiorna la tesi di Sciacca e dimostra che, nell'età post-moderna, più che in quella moderna, l'arte di persuadere, assiduamente praticata dagli ideologi politicanti e comizianti, è ispirata da un pregiudizio sofistico intriso di irrazionalità e di irrealismo.
Strumento dell'irrealismo ideologizzante, la politica moderna, infatti, “appare subordinata in radice ad un'istanza di futuro … che costituisce l'unico parametro di verifica del telos dell'azione. …”
Applicazione del pregiudizio antifilosofico, che regge l'ideologismo, il discorso politico si trasforma in allegoria del fischio ultrasonico (e ovviamente alogico), che è usato dai cacciatori per richiamare i cani all'obbedienza.
Separata dalla ragione, la politica diventa incapace di contemplare l'orizzonte del dover essere, e perciò si riduce a scienza del potere, a vuota cratologia, ovvero a potere regolabile solo dai teorici potere, che interpretano “la vita della comunità politica secondo la visuale della dialettica dei poteri … piuttosto che come riflessione sull'ordine secondo giustizia in vista del perfezionamento umano”.
Ai giorni nostri, lo scenario allestito dal relativismo rappresenta l'esito delle rivoluzioni intitolate alla scienza politica, che concepisce le leggi come recipienti dei princìpi autopostulatori proclamati dal sovrano di turno, tiranno, popolo, partito o setta.
“In questa prospettiva è la legge ad essere il fondamento del diritto e non viceversa”.
Ora la pretesa di sostituire il potere alla ragione prepara l'irruzione del relativismo e del nichilismo nel costume e nelle leggi. Irruzione peraltro visibile nelle leggi omicide e contro natura imposte dai poteri forti a diverse nazioni europee.
Acutamente Giovanni Turco osserva: “Espunta la razionalità come criterio e come misura obiettiva di ogni atto, ed esclusa la trascendenza del fine rispetto all'effettività dell'atto, non resta che derivarne l'inintelligibilità come conclusione. In tal caso il potere non può avere che un nulla di misura, ovvero, non avendo alcuna misura, paradossalmente troverà la propria misura nel nulla. La scienza del potere, paradossalmente, finisce per risolversi in udenologia, ovvero in un discorso sul nulla”.
Di qui l'urgenza di una riscossa politica dei cristiani, di una controffensiva culturale condotta (come auspica Benedetto XVI) da una classe politica cristianamente ispirata e perciò intesa a ristabilire i diritti della ragione e le ragioni della legge naturale.

Nessun commento:

Posta un commento