domenica 7 febbraio 2010

La censurata eredità di Gianni Baget Bozzo

(segue)
Il prefetto del Santo Uffizio gli rispose che non poteva ma doveva fondare “a destra” un secondo partito di cattolici qualificati da una più coerente fedeltà alla dottrina sociale della Chiesa. Il cardinale rammentò, peraltro, che, fin dal 1944, Pio XII era contrario alla coatta unità dei cattolici nel partito, guidato da una classe dirigente che professava le discusse e criticate (da padre Antonio Messineo) idee filosofiche di Jacques Maritain.
Lo stesso giorno Baget Bozzo si recò dal cardinale vicario Traglia, per comunicargli la decisione di fondare un nuovo partito. E con grande stupore si sentì rispondere che l’autorità cattolica avrebbe sconfessato qualunque tentativo di dividere i cattolici recando danno alla Dc morotea.
Baget Bozzo fu il primo dolente testimone del drammatico conflitto che avrebbe lacerato la Chiesa cattolica nei lunghi anni dell’illusione progressista al potere. E il primo a comprendere che il motore della crisi ecclesiastica era quell’ideologia democristiana, che Pio XII aveva definito modernolatria, cioè modernismo abbassato al sinistrismo e al delirio conformistico, che applaudiva nel sanguinario Kruscev la personificazione (a Budapest 1956) del lupo ammansito a Gubbio.
Fallito – sconfessato dalla gerarchia - il tentativo di dare vita a un secondo partito d’ispirazione cristiana, sciolti i centri per l’Ordine civile, liquidata la rivista “Lo Stato”, Baget Bozzo, coerentemente, si consacrò all’unica missione possibile, confutare la filosofia di Maritain e denunciare gli errori dell’ideologia socialcomunista. In questo modo egli pensava di ostacolare la trionfale politica dei democristiani di sinistra (da lui definiti clericali senza princìpi).
Purtroppo l’agitato dibattito teologico che si svolse nel Concilio Vaticano II dimostrò il devastante potere esercitato sulla fazione più dinamica dell’episcopato cattolico dall’aperturismo maritainiano (oltre che dal secolarismo di Karl Rahner e di Pierre Teilhard du Chardin).
Lo Spirito Santo non permise che la Chiesa dopo il Vaticano II scendesse nel gorgo insieme con l’ombra illusoria e zavorrante del pensiero moderno.
La rovinosa intenzione di alterare il dogma fu sconfitta e ridotta alla gazzarra dei (pochi) preti border line.
Grazie alla strenua resistenza sostenuta dai cardinali Ottaviani e Siri e dal vescovo Marcel Lefebvre, della nuova e rumorosa teologia si conservò, infatti, solo qualche riga obliqua e involuta nei documenti conciliari. Un graffio sulle colonne del Bernini, come ebbe a dire Giovannino Guareschi.
Tuttavia Baget Bozzo, insieme con l’ala tradizionale del cattolicesimo, fu sommerso dal diluvio di bianchetto scatenato da laicisti, socialcomunisti e cattoprogressisti. Fu declassato e respinto nella marginalità. Si ritirò a Genova, dove soggiornava uno fra i più grandi e nobili vincitori (sconfitti apparenti) dal secolo sterminato, il cardinale Giuseppe Siri.
Nel 1966, per incarico del cardinale Siri, Baget Bozzo (che intanto aveva iniziato gli studi teologici in vista della ordinazione sacerdotale) fondò la rivista “Renovatio”, pubblicazione tradizionalista, che anticipò l’analisi della filosofia moderna quale metastasi dell’odio gnostico contro la speranza.
Nichilismo gnostico è una definizione oggi implicitamente condivisa da Eugenio Scalfari, illuminista ridotto alla disperata adesione al catastrofismo di Leopardi, Schopenhauer e Nietzsche.
Purtroppo negli anni Sessanta l’annuncio dell’involuzione in atto nel mondo moderno sembrava assurda e indicibile. “Renovatio” di conseguenza fu nascosta in un cono d’ombra mediatica.
La vicenda cristiana di Baget Bozzo si concluse nel segno dell’emarginazione e dell’umiliante sconfitta. I successivi, patetici, incoerenti tentativi di uscire dal vicolo cieco accompagnandosi ora a Donat Catin ora a Craxi costituiscono soltanto la storia tormentata e drammatica di un uomo reso fragile dal fallimento (apparente) e dal greve disprezzo degli avversari.
La fragilità si legge nella paradossale definizione autobiografica di Baget Bozzo: “io sono come le puttane, in politica vado con chi mi paga”.
La sua eredità non è dunque la vicenda politica. Non è il (parziale) successo ultimamente ottenuto da alcune sue tesi. E neppure la riduzione della Dc alla esemplarmente crepuscolare sagoma di Romano Prodi.
L’eredità di Baget Bozzo è la ragione della buona causa umiliata dal progressismo e dal salotto buono ma vittoriosa nella storia. Ragione che è ultimamente confermata dal naufragio del maritainismo nella scuola di Bologna. Dai tuffi acrobatici della doppiamente pia Binetti. Dalla fine dell’unità democristiana nelle sproporzionate collere e nei disperati pettegolezzi di Franceschini contro Berlusconi.
Baget Bozzo scompare mentre passa la figura del mondo moderno e mentre Benedetto XVI sta liquidando (con improba fatica e col guadagno di un incredibile e deforme odio clericale) gli accaniti rimasugli del progressismo cattolico e delle illusioni postconciliari.
Questa è l’eredità che Baget Bozzo, insieme con i cardinali Siri e Ottaviani consegna alla Chiesa. Questo il risultato nascosto dietro il rumore della cronaca funeraria addomesticata dalle censure laiche e dal bla-bla mediatico. Il rimanente è dispersione, spettacolo mondano e figura di passaggio.



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